ITA

Ogni anno scegliere il tema è una fase determinante che ci sprona a fare il punto: cosa è successo nell’edizione passata? Perché siamo ancora qui? Come ci sentiamo e cosa ci aspettiamo ancora? Individuare una parola che sintetizzi è una sfida impegnativa, a tratti estenuante. Ma poi succede, si allineano i pianeti, si sincronizzano i cervelli e non ci resta che essere tutti d’accordo: Crepe ci ha riunito sotto lo stesso segno.

Crepe come sulla materia fredda della nostra realtà, come cicatrici sulla materia calda del nostro corpo, il vuoto disegna un altro percorso, un’alternativa infinita che si dirama per sfuggire alla pressione del conformismo. Crepe come segni sulla pelle, crepe nei muri dove si nascondono le lucertole, le crepe dopo un terremoto o un’eruzione, come le striature di un cuore pulsante.
Il mondo apparentemente è liscio e uniforme, scientemente ricoperto da una patina spessa che tutto ricopre e tutto addomestica. Le imperfezioni, gli sbalzi e le increspature subiscono la stessa sorte: eliminate, piallate, stuccate, a favore di una superficie monotona. Ma le lesioni patologiche sono spesso provocate da un meccanismo di difesa della struttura, che soggetta a pressioni reagisce, assestandosi su un nuovo equilibrio. Si origina così un quadro alternativo che nulla a che fare con l’ordine apparente. E anche se lentamente, si frantuma il velo di ipocrisia che nasconde il caos, le alternative, insomma tutto il divertimento.

Non possiamo fare altro che imparare a riconoscere la falsità dello spazio che ci costringe; incidendo i nostri segni possiamo disinnescare i meccanismi e le pratiche che ci impongono.

Rivendichiamo il diritto all’imperfezione, alla fragilità, al costante mutamento; orgogliosamente ci diciamo difformi dai meccanismi di produzione culturale mainstream, che passando mani di bianchissima vernice provano costantemente ad assorbire e standardizzare quel che nasce dal basso, o a mettere a profitto quel che non riescono a nascondere. E anche se lo sguardo e l’immaginazione si scontrano sulle mura lisce, le crepe, una volta iniziato l’intreccio, innescano quel inevitabile effetto domino che lascia fuoriuscire la luce: inizialmente ci abbaglia ma poi rende più nitidi tutti i colori di cui avevamo bisogno. 

E quando a palesarsi è l’orrore non possiamo scorrere avanti, far finta di niente e il segno che infetta le coscienze, che difficilmente ci leveremo di dosso.

Stop al genocidio, free Gaza

ENG

Every year choosing the theme is a crucial phase that prompts us to make the point: what happened in the past edition? Why are we still here? 

How do we feel and what do we still expect? 

Identifying a word that synthesizes it all is a challenging, sometimes exhausting task. But then it happens, the planets align, the brains synchronize, and all that’s left is for us to agree: “Crepe/Cracks” has brought us together.

“Crepe/Cracks” like on the cold substance of our reality, like scars on the warm matter of our bodies, the void draws another path, an endless alternative that branches out to escape the pressure of conformity. “Crepe/Cracks” like signs on the skin, cracks in the walls where lizards hide, cracks after an earthquake or an eruption, like the streaks of a pulsating heart.

The world appears smooth and uniform, intentionally covered by a thick veneer that covers and tames everything. Imperfections, bumps, and ripples suffer the same fate: eliminated, planed, filled in favor of a monotonous surface. But pathological lesions are often caused by a mechanism of defense of the structure, which, subjected to pressures, reacts, settling into a new balance. Thus, an alternative picture is originated that has nothing to do with the apparent order. And even if slowly, the veil of hypocrisy that hides chaos, alternatives, in short, all the fun, crumbles.

We can only learn to recognize the falsity of the space that constrains us; by making our marks, we can disarm the mechanisms and practices that are imposed on us. We reclaim the right to imperfection, fragility, constant change; proudly we say we are different from mainstream cultural production mechanisms, which, passing through hands of the whitest paint, constantly try to absorb and standardize what emerges from below, or to profit from what they cannot hide. And even if the gaze and imagination clash on smooth walls, the cracks, once the weaving begins, trigger that inevitable domino effect that lets the light out: initially dazzling us but then making all the colors we needed clearer.

And when horror manifests itself, we cannot scroll forward, pretend nothing happened, and the mark that infects consciences, that we will hardly shake off.

Stop Genocide, Free Gaza.

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Categorie: Eventi