E voi, come state?

In questi otto anni sempre in movimento, la comunità dello Scugnizzo Liberato è cambiata, senza perdere mai l’attenzione alla cura reciproca. Per questo motivo, prendendo ispirazione dall’esperienza della GKN, abbiamo scelto di iniziare la prima giornata del nostro bilancio invernale chiedendoci: come stai? Ne è venuto fuori un momento di condivisione personale ed emotivo, e non per questo meno politico.

È bello potersi chiedere “come stai” e sapere che non si tratta di convenevoli, ma di vera  condivisione con una comunità pronta all’ascolto. Il personale è politico e viceversa, la coscienza di come stiamo noi e come stanno l3 altr3 ci permette di procedere insieme con consapevolezza e prendendoci cura l3 un3 con l3 altr3.

Guardare alle complessità di processi collettivi che non sono (e non possono essere) lineari è secondo noi è l’esercizio quotidiano che ci può permettere di trovare strumenti nuovi per stare – e fare – insieme.

In una comunità fortemente eterogenea, in cui coesistono biografie molto diverse, ognunə con il suo posizionamento in un complesso spettro intersezionale di privilegio, garanzie/insicurezze, fragilità e solitudini, l’incontro tra persone altrettanto differenti non è semplice, ma crea le condizioni politiche e personali per strutturare un nuovo terreno di alleanze. 

La comunità ci insegna a rinegoziare l’identità di ognuno, scardinando atteggiamenti paternalistici, giovanilistici, patriarcali e di potere. 

Succede solo quando ci guardiamo in faccia e proviamo ad essere tutt3 insieme il flusso di informazione. Ognuno porta e prende qualcosa mentre fa esperienza della comunità, mettendosi in discussione costantemente. Imparare a non guardare a chi dice le cose, ma ad ascoltare quello che viene comunicato senza pregiudizi. La comunicazione che vogliamo coltivare tra noi non è gerarchica. Sappiamo che non è banale, ma ci importa che chi si siede nel nostro cerchio si senta davvero liber3 di esprimere quello che pensa, uscendo dalle dinamiche di ruoli precostituiti.    

Possono nascere delle incomprensioni, anche dei conflitti: non spaventano se siamo convint3 che la volontà comune sia sempre confrontarsi per risolverli. Continuare ad andare avanti ma guardandosi sempre a fianco è il modo che abbiamo sperimentato per riuscire ad opporci alla società contraria.

2) Società contraria

Nel tentativo di dare un nome a quello che ci opprime, spaventa e riempie di rabbia del mondo in cui viviamo nonché a quello che cerca di cancellare ogni principio e istinto di empatia, solidarietà e cura, lo abbiamo immagino come una società dove ogni significato è rovesciato, una “società contraria”.

La società contraria è quella che ci vorrebbe contrappost3, isolat3 e funzionali, forza lavoro disponibile a qualsiasi forma di sfruttamento, trasferimento coatto e acculturazione forzata. Si muove come un tritacarne, non tiene conto della gioia collettiva, dei legami sociali, delle storie individuali. Trasforma i quartieri, quantifica, valorizza, immagina progetti di messa a valore. Lo scontro tra questa società contraria e la Comunità è inevitabile e lo è sempre stato: le nostre stesse vite ci raccontano storie di resistenza alle ingiustizie sul lavoro, alla marginalità sociale e psichica, al colonialismo.

È importante nominare quello che si teme e si combatte, provare a definirne caratteristiche, pericoli, punti deboli. Potremmo ragionare ancora tanto sulla società contraria e lo faremo, ma per ora ci piace l’idea di condannarla alle sue debolezze intrinseche: la società contraria non ha storia, non esprime relazioni di cura e pertanto non ha futuro. 

“ma la tranquillità tanta cura per trovarla sì la stabilità…”

La sensazione di vivere nell’eterno presente neoliberale è ormai una percezione costante della nostra società, ma può essere scardinata uscendo dalla routine della produzione e del consumo passivi, connettendosi con delle storie e delle memorie che – anche se non lo sappiamo – sono nostre, perché possiamo riconoscerci in esse.

Uscire dall’eterno presente vuol dire costruire un diverso tipo di quotidianità, di ritmi e cicli, una stabilità non anestetizzante e anestetizzata. Allo Scugnizzo una peculiare forma di stabilità ha iniziato a crescere e camminare di pari passo con la personale percezione di stabilità di ognunə, diventando un punto di riferimento in una vita di precariato affettivo e lavorativo. Un ancoraggio su cui potersi costruire e ricostruire, crescere e migliorarsi. Il sentimento di sicurezza che origina dalla solidità della comunità riesce anche a trasmettere coraggio per affrontare le tante incertezze che affrontiamo nella vita.

Una stabilità, un quotidiano ricco di senso può costruire se abbiamo consapevolezza della nostra storia e sappiamo immaginarci in una prospettiva ampia. La comunità è stabile perché sa muoversi oltre l’imminente: può anche capitare di uscire dal flusso delle cose e delle pratiche quotidiane, ma sentendosi comunque parte del tutto. Riuscire a non sentirsi in colpa quando succede, vuol dire rompere lo schema performativo della “società contraria”, ed è possibile se la comunità è capace di guardare e ascoltare l’altro.

3) Eterno presente

L’anno prossimo lo Scugnizzo Liberato sarà interessato da importanti lavori di ristrutturazione, una situazione che presenta nuovi scenari, nuove sfide e nuove possibilità per la comunità.

Se da un lato affrontare la difficile coabitazione con un cantiere che occuperà necessariamente alcuni degli spazi che utilizziamo per le nostre attività ci spaventa, dall’altro vogliamo accogliere quest’occasione come il possibile rilancio di nuove prospettive. 

Affrontare il futuro con curiosità e coraggio, abbracciare il nuovo che verrà: la quotidianità dello Scugnizzo è stata negli anni una costante immutata nelle nostre vite mutevoli e ingarbugliate, adesso questo rapporto dovrà modificarsi. Reinventare la vita della comunità sarà un salto nel vuoto, ma sarà anche questo un modo per uscire dal loop dell’eterno presente, in cui anche la gestione dello spazio può fossilizzarsi mentre, come forse tutto, richiede una costante messa alla prova di immaginazione e desideri, come abbiamo provato a fare dal primo giorno di occupazione. 

Ampliare le prospettive, reinventarci per crescere ancora, modificare e ampliare il quadro di riferimento dei tempi e delle pratiche in cui ci muoviamo: stabilità non è sinonimo di immobilismo.

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