SMACK OUR RAVE UP: Considerazioni sul decreto AntiRave
In merito al dibattito sul cosiddetto decreto anti rave, ci sentiamo di fare alcune considerazioni, specialmente perché abbiamo sempre provato a riflettere sul valore reale e collettivo della musica indipendente e dell’autorganizzazione.
Il provvedimento proposto dal neonato governo Fdl-Lega-FI cavalca l’onda delle polemiche sul rave di Modena per imbellettare una legge che, vista la sua ambiguità, limita di fatto la libertà delle persone a riunirsi ed organizzare momenti di festa.
Questo DL arriva puntuale a prendersela con una delle ultime forme di controcultura urbana ancora in vita, tenuta in piedi da persone che partecipano e mettono insieme le proprie energie allo scopo di praticare una forma alternativa di divertimento, che ha storicamente funzionato come motore di aggregazione sociale e di superamento delle gerarchie di razza, classe e genere. La legge lampo di Giorgia Meloni non è la prima iniziativa preoccupante a cui abbiamo dovuto assistere negli anni.
Il nostro paese, (nonché la nostra città, governata da un’amministrazione apparentemente di centro-sinistra), non è nuovo a dispositivi di governo che usano concetti quali il ‘decoro’ o la ‘sicurezza urbana’ come pretesti per limitare la libertà delle persone, specialmente di alcuni gruppi sociali. Si pensi alle leggi del decreto Minniti, che con la scusa del decoro cittadino mirava sostanzialmente ad eliminare i più disparati fenomeni di marginalità sociale, infliggendo la pena del daspo tanto a migranti illegali, quanto ad ultras, senza fissa dimora, venditori ambulanti. Un’iniziativa volta a gentrificare, ripulire e reprimere, alla rinfusa, figure marginali e “sovversivi”, deportando le persone scomode, secondo i casi, in periferia o nei paesi di origine.
Dispositivi giuridici e burocratici irrigidiscono e limitano le possibilità di organizzare momenti collettivi di svago, basti pensare alla Legge Morcone e agli iter necessari per organizzare un evento pubblico. Le ingenti richieste di burocrazia e la mancanza di qualsiasi ufficio che possa supportare queste iniziative si traducono in un enorme dispendio economico per produrre i moduli e dotarsi delle figure professionali adeguate a realizzarle.
D’altra parte, anche il periodo post-pandemico ci ha ricordato che con la carta dell’ emergenzialità e della sicurezza sanitaria è possibile riscrivere frettolosamente le regole dei giochi, re-introducendo nel lessico comune parole come ‘coprifuoco’, dando adito alla forse ben fondata paura di far parte di una società che ha interesse a tutelare solo il carattere produttivo degli individui, screditando e riducendo all’osso quello ludico-ricreativo. Ancora una volta, dietro l’attacco esplicito alla cultura dei rave-parties, si nasconde la volontà di colpire ogni tipo iniziativa di aggregazione spontanea, raduni, manifestazioni politiche o sociali, iniziative culturale spontanee, presidi, occupazioni e sit-in.
Ci sentiamo sotto attacco e non possiamo sottovalutare il potere discorsivo promulgato dai grandi giornali nazionali, i quali hanno trasformato la cultura rave in un’entità mostruosa da cui tenersi alla larga (ci riferiamo ad esempio alle polemiche sullo Spacetravel del 2021 svoltosi nella provincia Viterbo), o dal paradosso ideologico del decoro che trasforma senzatetto e migranti in nemici pubblici, da espellere ed eliminare. Al contrario, riteniamo che ciò che davvero dovremmo temere è la naturalezza con cui povertà e sfruttamento siano normalizzati come semplici conseguenze nelle nostre città, come se la marginalità sociale fosse il problema, e non i sistemi che la producono.
Non vogliamo accettare il pericoloso ritorno di concetti come quello di devianza che alimentano la paura e legittimano iniziative securitarie nelle nostre città. Riteniamo che difendere la cultura rave significhi difendere la possibilità di fare della musica uno strumento di affermazione sociale, della festa come luogo di sospensione dalle regole del capitale.
I freeparties sono luoghi implicitamente politici, poiché dietro l’occupazione di un ex-area industriale c’è la critica alla società capitalista che abbandona le sue rovine all’incuria, sono gratuiti quindi accessibili e sono luoghi multidimensionali che hanno promosso e continuano a promuovere la cultura del DIY a cui ci sentiamo profondamente vicin*.
D’altra parte, anche noi occupiamo da sette anni un luogo che altrimenti sarebbe rimasto abbandonato, dentro il quale è stato possibile dare spazio a centinaia di iniziative culturali autonome, slegate dalle logiche del mero profitto, per sperimentare il presente ed anticipare il futuro.
Questa legge ci mette davanti ad una rinnovata occasione di unificazione. Dovremmo coglierla nelle sue parti che ci uniscono, in una dialettica politica ampia, che riguarda tanto chi partecipa ai rave-parties, quanto chi lotta occupando fabbriche e luoghi di produzione, nonché studenti e studentesse, chi si batte per un lavoro o per un reddito.
Uno spazio intersezionale che sgomita per emergere e che non dovremmo lasciarci sfuggire, trovando nei momenti di ognunx lo spazio adeguato per connettersi.